Tra i derivati della Cannabis ce ne è uno in particolare che è utilizzato da secoli e commercializzato già nell’antichità come un bene prezioso. Ci riferiamo alla famosa sostanza ricavata dalla resina prodotta dalle infiorescenze delle piante, ovvero l’hashish. Come si fa però a realizzarlo? Qual è il processo che, partendo dal fiore, permette di ottenere panetti o, in alcuni casi, una polvere dorata, ovvero le forme più comuni in cui viene consumato l’hashish?
In realtà non esiste una sola tecnica e i metodi si sono evoluti nel corso dei decenni, soprattutto nei casi di produzione di massa, favoriti anche dalla legalizzazione dei prodotti ad alto contenuto di CBD e quasi del tutto privi di THC.
Fino a pochi anni fa, infatti, l’hashish era esclusivamente una sostanza stupefacente, illegale in gran parte del mondo, Italia compresa. Dal 2016, invece, con la legge numero 142 il nostro Paese ha dato il via libera alla coltivazione di canapa light e alla produzione e commercializzazione di tutti i suoi derivati, tra cui appunto l’hashish light. Si tratta di una versione del tutto priva di effetti psicoattivi e quindi salutare per corpo e mente. Questo grazie alla presenza di THC, cannabinoide dagli effetti psicotropi, in percentuali praticamente nulle, dello 0,2% con tolleranze massime dello 0,6% e quindi impercettibile dal nostro organismo. Ciò che rimane alto, invece, è la quantità di CBD, un altro cannabinoide privo di effetti collaterali e ricco di proprietà benefiche.
Indipendentemente dalla variante, le tecniche di produzione dell’hashish sono le stesse. Il prodotto finale invece cambia a seconda non solo della presenza o meno di THC, ma anche delle caratteristiche delle piante di provenienza. Vediamo allora quali sono i metodi più comuni per creare l’hashish: come si fa e come era realizzato in passato.
Hashish: come si fa ora e come veniva prodotto nell’antichità
Il primo passo nella produzione di hashish è l’estrazione della resina. Il metodo più semplice per farlo è lo sfregamento a mano, tecnica tradizionale ancora praticata ad esempio in alcune zone dell’India o del Nepal. Basta quindi sfregare con le mani le infiorescenze: l’operazione produrrà calore che faciliterà la separazione il distacco della resina.
Questo è però una tecnica molto casalinga, dalla scarsa resa e valida solo per la produzione di piccole quantità.
Una forma leggermente più evoluta prevede l’utilizzo di una speciale forbice per ricavare la resina più facilmente, ma anche in questo caso la resa è piuttosto bassa.
C’è però un modo per facilitare l’operazione e quindi la produzione di hashish. Come si fa? Con il metodo dell’acqua e del ghiaccio che consiste nel mescolare le infiorescenze o gli scarti di potatura all’interno di un contenitore pieno di acqua ghiacciata, in modo da indebolire i tricomi e staccarli più facilmente.
In alcuni Paesi, come ad esempio in Marocco, invece, le piante di cannabis vengono prima fatte esiccare e poi pressate a secco, in modo da estrarne la resina.
Chi produce hashish su larga scala lo fa invece tramite presse professionali che esercitano una pressione sulle infiorescenze e talvolta sono anche in grado di produrre calore, per velocizzare l’estrazione della resina. È un metodo particolarmente veloce ed efficace che permette di ottenere grandi quantità di prodotto in pochi minuti. Esistono anche estrattori elettrici in grado di staccare i tricomi dalle piante, per poi setacciarli con un telaio.
A questo punto i tricomi vengono pressati e compattati in piccoli blocchi per poi essere fumati in vario modo: mediante pipa o bong o anche in canne.
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